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EUROPE AROUND THE BORDERS

“Europe, around the borders” è un progetto iniziato nel dicembre 2013 dal fotografo Ivano De Maria e dallo scrittore Marco Truzzi. Come gran parte dei racconti, anche questo è partito da una (o più) motivazioni. Il tema del “confine” – dopo secoli di guerre, rivendicazioni, politiche, annessioni, nazionalismi, autonomie, pulsioni – segna, più e meglio di altre cose, la “vera anima” dell’Europa, capace di dividersi anche nel momento esatto in cui proclama l’unità: non solo, quindi, confini che marcano, che delimitano, che segnano – come d’altra parte sarebbe nella loro natura – ma anche confini che improvvisamente si fanno apparentemente “assenti”, assumono un andamento carsico, come fossero cancellati dalla storia e dalle vicende dei popoli, ma che riappaiono poi improvvisamente, a connotare a rappresentare in modo nuovo ciò per cui erano stati pensati: dividere chi sta dentro da chi sta fuori, “chi è”, da “chi non è”. Tuttavia, tracciare e percorrere i confini europei diventa un’impresa fallimentare perché storia e attualità rendono impossibile stabilire con esattezza cosa è Europa e cosa non lo è. A cento anni dalla Prima Guerra mondiale – durante la quale milioni di uomini combatterono e morirono per confini che ora non significano più niente – e a 25 dalla fine delle “cortine di ferro”, ci sono altre persone, altri popoli, che si affacciano al nostro continente. E altri muri che sorgono per tenerli fuori. Cosa rimarrà di tutto questo? Forse nulla, se non un ricordo, come quello di certi sabato pomeriggio in cui da Udine si prendeva l’auto per andare in Jugoslavia, a cinquanta chilometri, dove il carburante costava 600 lire al litro anziché 1200 e dove le dogane erano popolate da esseri stralunati che non ridevano mai perché una risata poteva costare perquisizioni lunghe una giornata intera. O come a Basilea, punto dove si incontrano tre nazioni, luogo simbolico dove, di fatto, non sono mai esistite frontiere, se non quelle sociali, tra gente che corre nei centri commerciali e anziani che vivono in solitudine, come in ogni paese avanzato. Il tema del “migrante” emerge per la prima volta al nord, a Copenaghen, tra percorsi ciclabili rialzati, palazzi in vetro e cemento, madri che fanno jogging con figli neonati al seguito e signore che sottolineano il “problema dei mussulmani”, non tanto per una questione religiosa, quanto per invidie prettamente economiche dato che, a loro dire, gli islamici hanno costruito in Danimarca “enormi imperi economici” (anche se tutto si azzittisce salendo ancora più su, in Norvegia, dove il confine non è “umano”, ma è segnato da pianure, boschi e una pace silente, interrotta qua e là da un acquazzone stagionale). Poi ci sono i “muri” veri e propri. A Melilla, al check point di Barrio Chino, giovani, anziani e donne trasportano balle piene di mercanzia e ogni trasporto viene pagato una volta a destinazione. Lavorano per conto dei notabili marocchini. Il “contrabando” o commercio atipico come lo chiamano in città, è una forma di migrazione costante e tollerata. Così, improvvisamente, il racconto dei confini diventa racconto dell’attualità, somigliando ad un diario geopolitico dell’Europa: i confini continuano a rappresentare luoghi simbolici che proteggono realtà economiche e sociali e affermano un’appartenenza e un’identità politico-geografica irrinunciabile e, soprattutto, non cedibile a chi non ha i requisiti per farne parte. Per questo a Ventimiglia, la Francia chiude la dogana e lascia alcune decine di persone a vivere sugli scogli in riva al mare. E per questo a Calais si muore nel tentativo di attraversare la Manica nascosti sotto tir e automezzi. Infine, il percorso di “Europe, around the borders” si chiude verso est: non solo per il desiderio di mettersi sulle tracce dei muri che si stanno costruendo in Bulgaria e Ungheria – veri eredi di esperienze tragiche del passato che, pure, sembra che non abbiano ancora sedimentato a pieno il loro bagaglio di odio e di inutilità – quanto, piuttosto, per la constatazione che è proprio lì, a est, che ci si avvia a sperimentare il laboratorio del futuro prossimo, dove la “vecchia Europa”, a seguito della caduta del socialismo, ha immediatamente mandato in avanscoperta l’economia e la finanza, tralasciando la politica, e dove ora è chiamata a confrontarsi con pulsioni e paure mai del tutto sopite. Il progetto successivamente si espande includendo il lavoro artistico di Fabio Adani, che indaga e dialoga sul tema del confine (dal precedente lavoro “Limes”), creando una serie di opere, soprattutto a dittico, in cui le fotografie, manipolate pittoricamente, trovano un “continuum” grafico-pittorico in modo da ampliarne il significato, una doppio contenuto visivo in bilico tra racconto di realtà e trasposizione, riflessione mentale. Il concetto di confine, infatti, viene indagato maggiormente, “spostando più in là” il suo significato, analizzando quelli che sono i propri confini personali, i limiti interiori, paure, (in)consapevolezza dei propri limiti, le proprie barriere culturali, il proprio io; il riconoscere - in fondo - il proprio personale confine, la propria personale barriera, che a volte ci dà sicurezza ma contemporaneamente ci esclude al mondo esterno, come veramente è, negandoci la possibilità di un incontro con ciò e con chi sta oltre, incontro che - storicamente - ha sempre portato e favorito ricchezza culturale e personale. Tutto il lavoro, quindi, si svolge su un triplice piano, fotografico, letterario e pittorico, elementi che combinati insieme contribuiscono ad approfondire la ricerca sul tema del confine e a fornire spunti di riflessione ad ampio raggio su una situazione di estrema attualità che rigurada la condizione umana, sia del singolo che della società più complessa e nei suoi continui cambiamenti.

“Europe, around the borders” is a project started in December 2013 by the photographer Ivano De Maria and the writer Marco Truzzi. Like most stories, this one also started from one (or more) motivations. The theme of the "border" - after centuries of wars, claims, policies, annexations, nationalisms, autonomies, impulses - marks, more and better than other things, the "true soul" of Europe, capable of dividing itself even at the exact moment which proclaims unity: not only, therefore, borders that mark, that delimit, that mark - as would otherwise be in their nature - but also borders that suddenly become apparently "absent", take on a karst trend, as if they were erased from history and from the events of peoples, but which then suddenly reappear, to connote and represent in a new way what they were designed for: dividing those inside from those outside, "those who are" from "those who are not". However, tracing and crossing the European borders becomes a failed undertaking because history and current events make it impossible to establish exactly what is Europe and what is not. One hundred years after the First World War - during which millions of men fought and died for borders that no longer mean anything - and 25 years after the end of the "Iron Curtains", there are other people, other peoples, who are appearing in our continent. And more walls that rise to keep them out. What will remain of all this? Perhaps nothing, if not a memory, like that of certain Saturday afternoons when we took the car from Udine to go to Yugoslavia, fifty kilometers away, where fuel cost 600 lire per liter instead of 1200 and where the customs were populated by beings dazed people who never laughed because one laugh could cost a whole day's worth of searches. Or like in Basel, the point where three nations meet, a symbolic place where, in fact, no borders have ever existed, other than social ones, between people running around shopping centers and elderly people living alone, as in every advanced country. The theme of the "migrant" emerges for the first time in the north, in Copenhagen, among raised cycle paths, glass and concrete buildings, mothers jogging with newborn children in tow and ladies who underline the "Muslim problem", not so much for a religious question, as well as for purely economic envy given that, according to them, the Muslims have built "enormous economic empires" in Denmark (even if everything becomes quiet when you go further up, in Norway, where the border is not "humane" , but is marked by plains, woods and a silent peace, interrupted here and there by a seasonal downpour). Then there are the actual "walls". In Melilla, at the Barrio Chino checkpoint, young people, elderly people and women transport bales full of merchandise and each transport is paid for once at destination. They work on behalf of Moroccan notables. “Smuggling” or atypical trade as they call it in the city, is a form of constant and tolerated migration. Thus, suddenly, the story of the borders becomes a story of current events, resembling a geopolitical diary of Europe: the borders continue to represent symbolic places that protect economic and social realities and affirm a belonging and an indispensable political-geographical identity and Above all, it cannot be transferred to anyone who does not meet the requirements to be part of it. For this reason, in Ventimiglia, France closes the customs and leaves a few dozen people to live on the rocks by the sea. And this is why people die in Calais trying to cross the Channel hidden under trucks and vehicles. Finally, the path of "Europe, around the borders" ends towards the east: not only for the desire to track down the walls that are being built in Bulgaria and Hungary - true heirs of tragic experiences of the past which, however, seem to have not yet fully settled their baggage of hatred and uselessness - but, rather, for the observation that it is right there, to the east, that we are about to experiment with the laboratory of the near future, where "old Europe", following the fall of socialism, it immediately sent economics and finance forward, leaving aside politics, and where it is now called upon to deal with impulses and fears that have never completely subsided. The project subsequently expands to include the artistic work of Fabio Adani, who investigates and dialogues on the theme of the border (from the previous work “Limes”), creating a series of works, especially diptychs, in which the photographs, pictorially manipulated, find a graphic-pictorial "continuum" in order to broaden its meaning, a double visual content poised between a story of reality and transposition, mental reflection. The concept of border, in fact, is investigated further, "moving further" its meaning, analyzing what are one's personal boundaries, internal limits, fears, (un)awareness of one's own limits, one's own cultural barriers, one's own self; recognizing - ultimately - one's own personal border, one's own personal barrier, which sometimes gives us security but at the same time excludes us from the outside world, as it really is, denying us the possibility of an encounter with this and with those beyond, an encounter that - historically - it has always brought and favored cultural and personal wealth. All the work, therefore, takes place on a triple level, photographic, literary and pictorial, elements which combined together contribute to deepening research on the theme of the border and to providing wide-ranging food for thought on an extremely topical situation which concerns the condition human, both of the individual and of the more complex society and its continuous changes.